Il complesso conventuale dedicato a San Bernardino, edificato negli anni compresi tra il 1455 e il 1465, deve la sua erezione al culto verso il Santo senese che, secondo la tradizione e fonti storiche, aveva toccato Ivrea, nel 1418, durante la predicazione itinerante volta a contenere il diffondersi di nuove idee ereticali; lo stesso Bernardino da Siena, a quel tempo commissario generale cismontano dei Frati Minori Osservanti, nel 1422 aveva approvato la fondazione del convento eporediese. Solo nel 1455, trovato il sito adeguato poco fuori la città e recuperati i fondi necessari alla costruzione, potè prendere avvio la fabbrica del luogo sacro: il 14 settembre 1455 il vescovo Giovanni di Parella dei conti di San Martino benediceva la posa della prima pietra, come testimonia l’incisione sulla lapide murata sulla parete sinistra della chiesa.
I lavori di edificazione del convento e della chiesa vennero ultimati all’aprirsi del 1457: i fabbricati si sviluppavano intorno al chiostro che, diviso in due corti gemelle, nell’area adiacente la chiesa presentava il cimitero e verso sud ospitava lo spazio destinato alla me-ditazione dei frati. La chiesa, a una sola navata a pianta quadrangolare con volta a crociera, dimostratasi insufficiente per contenere il grande afflusso dei fedeli, fu in breve tempo sottoposta a opere di ampliamento che interessarono la parte anteriore dell’edificio.
Nel 1465, a conclusione dei lavori di prolungamento, la facciata gotica originaria, caratterizzata da tre arcate, risultava inglobata all’interno con i tre archi del portico trasformati in due cappelle laterali e in un passaggio centrale di comunicazione tra il nuovo ambiente e la chiesa primitiva: lo spazio sacro aveva così assunto la conformazione di chiesa conventuale con la separazione della zona destinata alle funzioni per la collettività dei religiosi da quella a cui potevano accedere i laici. Sui lati del raddoppiamento si sviluppavano, a meridione, uno spiovente che ricopriva l’ingresso al convento, e, a settentrione, con l’intento di dare simmetria alla facciata, una corta navata laterale. Il trascorrere del tempo, l’abbandono da parte dei frati e le ripetute occupazioni di truppe militari portarono a una situazione di notevole degrado; l’intera zona conventuale, passata in mano ai privati dal 1805, dopo la sospensione dei beni ecclesiastici, fu acquistata nel 1907 dall’ingegnere Camillo Olivetti che adattò la struttura a propria residenza e nel terreno adiacente di pertinenza sviluppò la sua azienda.
Tra il 1955 e il 1958, l’insieme degli edifici è stato interessato da importanti lavori che hanno modificato l’aspetto soprattutto del convento, non più adibito ad abitazione privata ma destinato ad accogliere la sede dei servizi sociali della ditta Olivetti: in particolare, ricordiamo la demolizione dell’intera ala di ponente del chiostro e del fabbricato addossato al fianco sud della chiesa. Nello stesso periodo furono intraprese opere di restauro intese a riportare alla struttura architettonica quattrocentesca la chiesa e, nel contempo, volte al recupero e alla conservazione delle pitture interne. Il passaggio della carrozzabile a fianco del luogo di culto ha poi causato lo smantellamento della navicella laterale a nord, la cui presenza è ancora leggibile all’interno, nelle due arcate a sesto acuto tamponate.
La chiesa ospita una delle più importanti testimonianze rinascimentali del Piemonte: il ciclo pittorico della Vita e Passione di Cristo realizzato da Gian Martino Spanzotti sul muro divisorio della chiesa di San Bernardino, verso quella che un tempo era la parte riservata ai fedeli laici. L’opera, secondo la più recente storiografia dell’arte databile tra il 1480 e il 1490, è formata da venti scene collocate attorno al grande riquadro della Crocifissione; le pitture dello Spanzotti si completano nei due pennacchi centrali raffiguranti il giudizio universale e l’inferno, nei pilastri sottostanti dipinti con le immagini di San Bernardino da Siena rappresentato secondo l’ico-nografia tradizionale e di Cristo inteso quale “Imago Pietatis” e nei due semipennacchi laterali riproducenti la cacciata dal paradiso terrestre e il purgatorio. L’attribuzione della composizione parietale a Spanzotti, avvenuta nel 1904, ha trovato successive ampie conferme. A Ivrea, il pittore, cresciuto in un contesto culturale di ampio respiro tra Piemonte e Lombardia, rivela una sensibile attenzione verso la produzione artistica innovativa del periodo, confermando nello stesso tempo la sua capacità di mediare le nuove tendenze rielaborandole in un linguaggio personale e originale: nel ciclo di affreschi si possono individuare richiami a diversi artisti, tra i quali Fouquet e Foppa, Mantegna e Piero della Francesca, de’ Roberti e Cossa della scuola ferrarese, Bergognone, Bermejo, Bramante, unitamente a influssi dell’umanesimo fiammingo, una ricchezza di conoscenze, spesso filtrate attraverso la cultura milanese, sempre comunque reinterpretate secondo soluzioni del tutto nuove e soggettive. Nell’opera eporediese, il linguaggio di Spanzotti risulta permeato di umanità, si intenerisce, i colori si impreziosiscono; la vicenda religiosa è ricondotta ad un ambito terreno visto attraverso gli occhi delle persone semplici, una visione aderente alle esigenze dell’etica francescana, alla quale il luogo sacro era ispirato.
Altre pitture ornano le due parti della chiesa: gli affreschi presenti sul fondo delle due cappelle laterali, create sotto le arcate del portico originario, sono di un ignoto artista che operò anteriormente a Spanzotti; gli altri dipinti, sparsi sulle pareti dei due ambienti, sono forse da attribuire a Nicolas Robert, pittore di corte al tempo di Amedeo IX di Savoia, e potrebbero essere contemporanei o di poco posteriori alla realizzazione del ciclo spanzottiano.